O voi ch’avete li
‘ntelletti sani,
mirate la dottrina che
s’asconde
sotto ‘l velame de li versi
strani.
(ossia mettetevi comodi
perché sarà a rate, lungo e complicato...
I teatranti troveranno
molte cose che già sanno, ma qui mica si scrive solo per loro. A loro, al limite, glie
telefono e/o glie manno ‘n messaggio su feeeeisbbuc.)
Nei suoi Mémoires, cap. VIII, Carlo Goldoni
scrive:
“Scartabellando
continuamente quella biblioteca trovai testi di teatro inglese, teatro spagnolo
e francese, non ne trovai di teatro italiano. C’erano qua e là vecchie commedie
italiane, ma nessuna raccolta o collezione che potesse far onore all’Italia.
Vidi con
dispiacere, che mancava qualcosa di essenziale a questa nazione, che aveva
conosciuto l’arte drammatica prima di tutte le altre, non potevo concepire come
l’Italia l’avesse dimenticata, degradata e imbastardita: io desideravo
ardentemente vedere la mia patria elevarsi al livello delle altre e mi promisi
di contribuirvi.”
Di questi
tempi, la prima cosa che salta agli occhi è che per parlare di Italia, e di
Patria, Goldoni non ha bisogno di invocare un progetto di Italia unita.
Carlo
Goldoni è forse l’autore più mal compreso dalla critica letteraria italiana. E
ciò è certamente da attribuire al fatto che la critica letteraria italiana, non
ha mai veramente compreso il Teatro. Focalizzare tutta l’attenzione sulla Riforma ha distorto le intenzioni di
questo sommo autore.
Quali siano
i motivi, francamente mi interessa poco saperlo. Restano i fatti; e i fatti ci
dicono, per esempio, che quel passaggio dei Mémoires
non è stato mai colto nella sua possente valenza.
La
storiella della Riforma non regge o
regge poco.
Scorrete le
antologie della letteratura italiana che sono sui banchi di scuola dei nostri
figli. Dove, come, quanto e quando si parla di Teatro? Praticamente mai, fatto
salvo, forse, un breve accenno a La
mandragola di Machiavelli.
Poi,
improvvisamente, appare Goldoni. E sbrigativamente, a questo punto, i poveri
professori si vedono costretti a parlare di Commedia
dell’Arte. E siccome devono dir bene di Goldoni – altrimenti non si
capirebbe perché stia lì, nell’antologia – non possono che fare un quadro
deleterio di un fenomeno fondamentale per
tutto il teatro occidentale come, appunto, la Commedia dell’Arte; la quale inevitabilmente viene mostrata come
l’attività cialtrona di un manipolo di comici alla ventura, che girano la
nazione e l’Europa propinando al pubblico orride gags e un repertorio stantio,
ammuffito, ripetitivo e ripetuto nei secoli onde soddisfare e solleticare, a
scopo di lucro, le più intime sensazioni del basso ventre popolare.
Sappiamo
oggi, più che bene, che non fu e non è così!
E, onde
rafforzare il valore della presenza del Nostro, sempre nelle care antologie gli
si contrappone anche un degnissimo autore come Carlo Gozzi, indicato quale
sostenitore di quell’antico “ciarpame teatrale” riciclato sotto la concezione
del favolistico contrapposto
all’altro perno (secondo la critica) piantato dal Nostro: il rifarsi alla natura, a quello che Goldoni stesso
definisce Il teatro del Mondo.
Bene. Se tutto questo avesse un senso, fossi uno studente mi chiederei: “Dov’è che posso andare a vedere dei comici dell’arte così da capire la differenza?”. Chiaramente da nessuna parte (oppure in un qualsiasi teatro d’Italia e d’Europa visto che quel prolifico germe sempre è con noi, sempre ci guida, sempre ci sostiene. Ma mettiamo per ora da parte questo discorso).
E se dunque
la risposta è “da nessuna parte”, come posso capire, praticamente,
direttamente, fattiva-mente, l’importanza di questo autore? E soprattutto: se
il suo maximo valore è legato alla Riforma, perché lo si continua a rappresentare
visto che il suo opposto non c’è più, e le questioni poste nella Riforma sono ampiamente assorbite e
superate?
Aggiungiamo
pure: se la Commedia dell’Arte è fenomeno italiano e Goldoni in
contrapposizione a quella lavora, perché egli è ancora così rappresentato
all’estero, per esempio in Francia? Hanno avuto, forse, i Francesi il problema
della Riforma, o sui loro
palcoscenici non erano già passati personaggi come Molière o Racine o
Corneille?
“Sì, ma non
è solo la storia della Riforma – dirà il magno studioso di turno - c’è anche il
forte richiamo alla natura volendo
egli descrivere il teatro del mondo.”
D’accordo,
d’accordissimo!, e questo è sicuramente un dato importante, anche se, ancora
una volta, bisognerebbe avere la capacità di guardare oltre le semplici parole,
oltre le affermazioni che paiono più che chiare: cosa vuol dire, infatti “il
teatro del mondo”? E se fosse un modo per esprimere un concetto che l’autore
sente chiaro dentro di sé ma non trova miglior modo per “metterlo fuori” che
questo, ma esso, in realtà, più che spiegare, indica?
Questo
interrogativo ve lo lascio, perché è indubbiamente generale, applicabile alla
stragrande maggioranza degli autori, degli artisti, e credo anche degli
scienziati.
Nel frattempo
mi chiedo: nella storia della letteratura, del teatro, della pittura, della
scultura, della musica, ecc. ecc. ecc. quanti sono gli autori che hanno voluto
scientemente guardare alla natura per
“riprodurla”?
Facciamo un
gioco: ognuno di voi faccia il proprio elenco, ci infili nel mezzo Goldoni, e
vedrà che questo nome si perde immediatamente in un mare magno, indubbiamente fatto di splendidi autori, ma sempre mare magno.
E sì,
perché ciclicamente, quando le cose cominciano a diventare torbide, incomprensibili,
quando si avverte una sorta di stop, di non voluta frenata... c’è sempre
qualcuno che vuole ricominciare da zero, e lo zero dove si identifica, dove
sta? Nella natura.
Non sto
denigrando questo comportamento, o intenzione: la trovo invece sana, sanissima:
naturale che volendo ricominciare si
riparta dalla madre terra - e da dove altro vorreste cominciare? – e quindi
dalla natura.
Resta il
fatto che in questo modo, il Goldoni diviene uno come tanti altri. E allora (e
siamo sempre al punto di partenza), dove sta questa sua importanza?
Non so se
mi sono spiegato, ma per come viene spiegato, qualcosa nella spiegazione non
spiega.
Quindi:
perché la Riforma avrebbe sì tanto
valore? Perché ne ha, certo che ne ha: in fondo, anche questo termine, Riforma, più che spiegare, indica; ma cosa indica?
Diamine, cari
critici, ci siamo, ci siete vicini, ci siete sempre stati vicini: perché
Goldoni scrive, si occupa, focalizza
la propria attenzione sulla scrittura!
Ecco: era
così complicato illustrare ai nostri studenti questo primo punto? Non mi pare.
“Bene –
dirà il magno critico – ma questo lo abbiamo detto: Goldoni scrive in
contrapposizione alla pratica del teatro
all’improvvisa”, quindi dove sarebbe la differenza?”
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