mercoledì 30 novembre 2016

IO SOSTENITORE DEL NO, TEMO VINCERÀ IL Sì (5 spunti di riflessione)

Avevo cominciato a scrivere un post per spiegare perché io, sostenitore del NO, temo vincerà il Sì. 
Mi sono poi accorto che stava venendo fuori un articolo interminabile. In pochissimi, forse nessuno lo avrebbe letto, nemmeno i miei sei affezionati lettori. 
A quel punto ho deciso di prendere un'altra strada, fidando sul fatto che, soprattutto se seguite altri importanti blog, alcuni dei quali menzionati qui a fianco tra i miei preferiti, avete imparato a unire i puntini. 
Limito il discorso, allora, anzi non lo faccio proprio e vi propongo una serie di brani, letterari, cinematografici e teatrali. Le parti in grassetto sono mie evidenziazioni. 
A voi le deduzioni.

Da “Il memoriale della Repubblica” dello storico Miguel Gotor, oggi deputato del PD, pubblicato da Einaudi

(Il pezzo che cito non è semplicemente “la deduzione dello storico”; esso può essere considerato come felice sintesi ottimamente corredata da una serie di note che rimandano a testi originali e ad altri studi sulla figura dello statista italiano; reputo quindi possa essere acquisito come spunto di riflessione) 
 
“Come ha spiegato Giovanni Moro in un’intervista del 1998, il padre, nel rivendicare il ruolo della DC, aveva tematizzato come pochi il conflitto tra sistema politico e società italiana, acutamente consapevole della perdita di autorevolezza e della deligittimazione dei partiti che non avrebbero più potuto rivendicare il monopolio della dimensione pubblica. Sotto questo profilo Moro, sia da libero sia da prigioniero, è stato il politico italiano che meglio di ogni altro si è reso conto della crisi delle regole democratiche, intesa come difficoltà del sistema di governo parlamentare di risolvere il dilemma tra rappresentanza e decisione. Un problema comune a tante democrazie occidentali, ma che in Italia, ancora trent’anni dopo, si avverte con particolare urgenza. Moro, con la sua insistenza sulla presenza nella penisola di una destra profonda e non completamente espressa, sembrava ricordare che la nazionalizzazione delle masse nel nostro paese era avvenuta sotto il fascismo e perciò aveva assunto caratteri inevitabilmente autoritari. Una miscela particolare di iperpolitica e di antipolitica che la crisi degli anni Settanta avrebbe riportato in auge, naturalmente sotto forme nuove e adeguate alla mutazione dei tempi. Un fattore obiettivo che avrebbe condizionato gli sviluppi della qualità della democrazia italiana nel lungo periodo, favorendovi l’attecchimento, più che altrove, di modelli populistici e plebiscitari, di cui nelle pagine di Moro si legge in controluce la previsione”. 



Da "Il generale della Rovere", film del 1959 di Roberto Rossellini, dall'omonimo romanzo di Indro Montanelli





Dal volume “Morte di un presidente”, sempre sul caso Moro, del giornalista Paolo Cucchiarelli, ed. Ponte alle Grazie:

“Nel 1946, Umberto Saba coglieva un elemento ancora oggi utile a capire l’Italia e anche il senso ultimo dell’omicidio Moro:

Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha mai avuto in tutta la sua storia, da Roma a oggi, una sola vera rivoluzione? La risposta – chiave che apre molto porte – è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono dei parricidi: sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani (...). Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano alla base della loro storia (o della loro leggenda) un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione (...) gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli.

L’omicidio Moro è l’unico tentativo – non simbolico – di “uccisione del padre portato a compimento dalla generazione della rivolta post ’68; il problema è che fu colpito il padre sbagliato, con tutte le conseguenze dirette e indirette del caso, tra cui l’asservimento psicologico e politico che avrebbe caratterizzato gli anni successivi.”


Da "Il sindaco del rione Sanità" di Eduardo De Filippo




Per chiudere, da "Scritti corsari" di Pier Paolo Pasolini, ed. Garzanti, inizio del brano "Fascista", intervista di Massimo Fini 

"Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai. (...) Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato "la società dei consumi". Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. Ed invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell'urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo. Nel film di Naldini ("Fascista", ndc) noi abbiamo visto giovani inquadrati, in divisa... Con una differenza però. Allora i giovani nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi ed i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di centocinquant'anni addietro, come prima del fascismo. 
Il fascismo in realtà li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio, nel fondo dell'anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell'intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irrigimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l'anima. Il che significa, in definitiva, che questa "civiltà dei consumi" è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la "società dei consumi" ha bene realizzato il fascismo". 


Credo si possa finire qui. 
Materiale spero di averne fornito a sufficienza. 
Voglio ricordarvi soltanto che Pier Paolo Pasolini fu assassinato nel 1975; Aldo Moro nel 1978. 

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